La santità quotidiana di mamma Rosa
Madre di una vasta famiglia
Eurosia, nata a Quinto Vicentino, in provincia di Vicenza, il 27 settembre 1866, si era sposata il 5 maggio 1886 con Carlo Barban, rimasto improvvisamente vedovo con due figliolette l’8 gennaio precedente. La diciannovenne fanciulla non aveva manifestato in precedenza la volontà di prendere marito, nonostante avesse ricevuto diverse proposte di matrimonio. A modificare la sua prospettiva di vita fu il suggerimento del parroco, che ne aveva notato la dedizione nell’accudire le piccole Chiara e Italia Barban, rispettivamente di quattordici e di quattro mesi.
Eurosia non ci pensò a lungo. Si consigliò con i propri genitori e soprattutto chiese di comprendere nella preghiera quale fosse la volontà divina, poiché sin dall’infanzia ella aveva cominciato a ricevere illuminazioni soprannaturali, che proseguirono per tutta la vita. Dopo soli tre mesi di fidanzamento vennero celebrate le nozze.
In seguito la donna non ebbe esitazioni ad associare alla sua già numerosa famiglia anche Diletta (cinque anni), Gina (tre anni) e Mansueto (dieci mesi), gli orfanelli della nipote Sabina, morta improvvisamente nel 1917 mentre il marito Paolo Mazzucco era soldato al fronte: tre nuove bocche da sfamare, ma soprattutto tre cuori da amare e da consolare. Finita la guerra, Paolo si risposò e riprese con sé le due bambine, mentre Mansueto volle restare con la mamma adottiva e successivamente entrò nei Francescani con il nome di fra’ Giorgio.
A «mamma Rosa», come tutti la chiamavano in paese, portare avanti il peso di una famiglia tanto vasta richiese sacrifici notevoli. Ma il suo sguardo non si limitò mai all’interno della propria casa, dilatandosi nell’orizzonte dell’intero circondario per aiutare chiunque avesse bisogno, sempre nella più totale gratuità. Faceva da balia ai bambini le cui mamme erano prive di latte, accudiva ammalati abbandonati, ospitava e rifocillava viandanti e pellegrini, donava nascostamente cibo ai vicini in difficoltà.
Alle rimostranze che talvolta riceveva dal marito, preoccupato per la mancanza di denaro e di cibo, rispondeva con fede: «Coraggio Carlo, pensiamo che il Signore ci vede, ci ama. Penserà lui a cavarci d’impiccio. Ci soccorrerà di certo, almeno per i nostri bambini, egli che ama tanto l’innocenza».
La casa natale di Eurosia Barban (1866-1932) a Quinto Vicentino.
Una dedizione infaticabile
La sua capacità lavorativa era al di fuori della norma. Non andava mai a letto prima di mezzanotte e alle quattro e mezza era nuovamente in piedi per preparare la colazione e la merenda ai fanciulli che si recavano in seminario e che dovevano percorrere un tratto di cammino di oltre due ore, rientrando a casa soltanto nel tardo pomeriggio. Poi, durante la giornata, svolgeva il mestiere di sarta.
Quasi ogni mattina riusciva a partecipare alla prima messa: spesso, dopo la comunione, Gesù le parlò e le concesse numerose rivelazioni. Nella sua semplicità credeva che il Signore illuminasse tutte le mamme sull’avvenire dei propri figlioli. E a qualche obiezione in merito, rispondeva: «Allora è perché non pregano come si deve: certo bisogna tanto pregare perché il Signore ci dia le sue grazie».
Viveva costantemente in una dimensione di fede: non trascorreva mai più di un quarto d’ora senza pregare o pensare a Dio, coltivava piante di garofani e altri fiori per farli mettere sull’altare, sottraeva un po’ d’olio dal suo condimento per alimentare la lampada del Santissimo, in casa c’era un quadretto del Sacro Cuore dinanzi al quale ardeva sempre un lumino.
L’unico libro che sapeva leggere era quello della liturgia a caratteri grandi. Praticava quotidianamente molte devozioni: il rosario e le «tre Ave Maria» per chiedere la protezione della Madonna, le orazioni in suffragio delle anime del purgatorio, il Pater-Ave-Gloria in onore di san Giuseppe. Affermava costantemente: «Vedete la carità di Gesù: si è chiuso in quel tabernacolo proprio per salvare tutti gli uomini».
La famiglia Barban: al centro mamma Rosa e suo marito Carlo Barban.
La famiglia Barban: al centro mamma Rosa e suo marito Carlo Barban.
«Il Paradiso, ecco il nostro porto»
Nel 1929 Carlo si ammalò ed Eurosia gli fu sempre accanto per prepararlo al trapasso. «Bisogna morire: il Paradiso, ecco il nostro porto. Lassù ci ritroveremo tutti, per non separarci mai più», erano le sue parole dense di fede e di speranza. Quando il marito morì, il 31 maggio 1930, ella ebbe da Gesù la rivelazione che anche lei lo avrebbe raggiunto dopo diciannove mesi. Perciò rifiutò più volte la proposta del figlio Giuseppe che voleva ospitarla nella canonica di Schio, dove c’era una fraternità sacerdotale nella quale avrebbe potuto dare una mano come cuoca. Nel frattempo si aggravava sempre più una malattia ai polmoni, che la costrinse a letto.
Quando Eurosia morì, l’8 gennaio 1932, mancavano ancora una trentina d’anni all’avvio del Vaticano II. Ma si può ben dire che, svolgendo il proprio compito di moglie e di madre, ella fu antesignana di quanto il Concilio indicò mediante l’efficace definizione di «Chiesa domestica»: la famiglia come luogo nel quale la fede viene vissuta, testimoniata e trasmessa. Di fatto un autorevole avallo allo spessore religioso della sua esistenza giunse sin dal 1943, con le parole che Pio XII pronunciò dopo aver udito alcuni cenni della sua biografia: «Che esempio meraviglioso! Poche madri cristiane hanno avuto tante benedizioni da Dio sulla loro famiglia. Bisogna far conoscere quest’anima bella, a esempio delle famiglie di oggi». E il sigillo definitivo a tale consapevolezza è stato dato con la beatificazione celebrata il 6 novembre 2005.
Saverio Gaeta