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La Chiesa parrocchiale

La chiesa di Marola è una delle più antiche della zona; è sempre stata intitolata alla Madonna, come attesta una lapide che riporta la dedicazione a Santa Maria in Marola.

Nel 1277, il feudo di Marola, che apparteneva ai canonici vicentini, venne acquistato dalle monache benedettine di San Pietro che, fino ai primo del Novecento, ebbero la giurisdizione della chiesa.

Nel XIII secolo, Marola era già attestata come parrocchia e, nel secolo XIV, possedeva un proprio fonte battesimale e un proprio cimitero. I libri canonici della parrocchia iniziano nel 1564.

Secondo le notizie riportate in un inventario di beni datato 1634, già da tempo funzionavano le confraternite del Santissimo Sacramento e del Santo Rosario. All'epoca, la chiesa era situata al limite di un agro centuriato che terminava a sud-ovest, presso l'argine del fiume Tesina. I nobili Fiocardi, nel 1774, la cedettero, venisse utilizzata come parrocchiale, ma le acque mettevano a rischio l'edificio.

Nel 1879 si pose rimedio al problema con la costruzione di una nuova chiesa, oltre il fiume. L'edificio attuale, conserva la struttura ottocentesca, ma, nel Novecento, la facciata fu modificata a seguito di alcuni restauri.

L'attuale chiesa, dedicata alla Presentazione del Signore, fu progettata nel 1879 dall'architetto Federico Castegnaro, in sostituzione della vecchia, ormai pericolante. Fu portata al coperto nel 1880 e completata con la sacrestia e la cappellina invernale nel 1881.

La facciata allungata verso la sommità e coronata di un timpano arrotondato è il risultato di una scelta architettonica del Novecento. All'interno, posti sulle pareti perimetrali, vi sono i primi due altari, scolpiti in pietra tenera di Vicenza e impreziositi da marmo nero e marmo rosso.

Sono dedicati a Sant'Antonio (a destra per chi entra in chiesa dalla porta Maggiore) - strutturato su un altro, precedentemente dedicato alla Madonna del Rosario -, e alla beata Eurosia Fabris (a sinistra) con, davanti, l'urna con le spoglie; troneggia l'arazzo con il volto della Beata, realizzato, in occasione della beatificazione, dall'artista barese Giuseppe Antonio Lomuscio, che si era ispirato al disegno fatto a suo tempo dal romano Ermilio Lazzaro, ma che scelse di ricostruire le fattezze giovanili della Beata.

Mamma Rosa appare giovane, colorata, diversa dalla figura severa, quasi cupa, in bianco e nero che si conosceva; l'abito scuro ha sostituito il pesante saio monacale, nelle mani un crocifisso e un rosario non più da eremita, in testa non la ruvida cuffia nascondi-capelli, ma una permanente leggera con l'aggiunta di due orecchini, un tocco di femminilità.

I secondi due altari, di inizio Novecento, dedicati alla Vergine del Rosario e a San Luigi Gonzaga, sono opera dei fratelli Cavallini di Pove del Grappa. Le manierate decorazioni a tempera aggiunte nel XX secolo, secondo il gusto tardo barocco dei medaglioni con i volti della Madonna, di San Luigi Gonzaga, di Gesù benedicente, l'Assunta e l'Annunciazione, sono stati realizzati dal pittore Alessandro Zenatello per adornare la zona presbiteriale e il soffitto dell'aula.

La parete di fondo dell'abside accoglie una tela d'altare, datata 1618, raffigurante la Presentazione di Gesù al tempio, opera quasi sicuramente di ambito vicentino, che si ispira alla luminosità notturna dei Maganza e che trova nel bambinello centrale, già consapevole del ruolo predestinato, il punto luminoso che irradia santità ai personaggi raccolti attorno. L'opera più bella e suggestiva, situata sulla volta della navata, è il grande racconto dell'Assunzione di Maria in cielo, datato 1939, ancora di Zenatello.

Le visite

Per la gente è già santuario, perché accoglie le spoglie mortali della beata Eurosia, ma per la Chiesa ancora no. Ma mons. Beniamino Pizziol, vescovo di Vicenza, ci sta lavorando. «La nostra chiesa - dice don Dario Guarato, arrivato a Marola come parroco nel 2007, con il compito di implementare la devozione - deve diventare il santuario della famiglia, perché la famiglia deve avere il primato nella pastorale, nella nuova evangelizzazione.

E, d'altra parte, mamma Rosa è stata l'angelo di una famiglia numerosa e a lei si rivolgono le spose che non riescono ad avere figli, chiedendo il dono della maternità».

La chiesa è meta di pellegrinaggio. Una decina di pullman su un anno, parecchie auto private, circa 5.000 persone vanno annualmente a incontrare mamma Rosa; sono già state distribuite quasi 200 mila immaginette sacre.

Poi ci sono molte persone che entrano durante la giornata per un momento di preghiera. «Non si tratta di folle, lo definirei un pellegrinaggio a gocce - riprende don Dario -.

Entrano, si fermano in preghiera, lasciano una frase nel registro. Senza caos, senza eccessi, nello stile di mamma Rosa, che era una donna semplice, piccola di statura, ma grande di cuore.

Oltre che essere venerata dalle spose, lo è anche dai catechisti - ne arrivano parecchi -, perché è la loro patrona. Poi vengono i frati perché è terziaria francescana». Si va verso la canonizzazione? «Per la canonizzazione serve un altro miracolo.

Tuttavia, sembra che ci sia stato. In America, una coppia clinicamente sterile, dice che, dopo essersi raccomandata a mamma Rosa, ha avuto la gioia di una figlia. Ovviamente, va verificato. Riemerge qui la fertilità della vita. Se ci fosse la canonizzazione, credo che il senso fidei sarebbe proprio nel suo essere mamma e catechista», conclude don Dario.

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